1. Protezione sismica: normative di ultima generazione
L’elemento di conoscenza primario per la determinazione delle azioni sismiche ai sensi delle
NTC/2008 è costituito dalla “pericolosità sismica di base”, riferita al sito in condizioni rigide e
con superficie topografica orizzontale. In particolare, le NTC definiscono la pericolosità sismica
(di base): (1) in termini di accelerazione orizzontale massima e dei parametri che permettono
di definire gli spettri di risposta ai sensi delle NTC, nelle predette condizioni di sito; (2)
in corrispondenza dei punti di un reticolo di riferimento, i cui nodi sono sufficientemente vicini
fra loro; (3) per diverse probabilità di superamento, in diversi periodi di ritorno ricadenti
in un intervallo di riferimento compreso almeno tra 30 e 2475 anni.
L’azione sismica prevista dalle NTC per una generica costruzione considera la predetta pericolosità
sismica di base (definita dalle coordinate geografiche del sito), congiuntamente agli
effetti delle condizioni stratigrafiche locali del sottosuolo e alla morfologia della superficie
del sito.
Quanto sopra caratterizza la pericolosità sismica ai sensi delle normative cogenti.
Si nota il passaggio dall’approccio discreto dell’O.P.C.M. 3274/2003 all’approccio — di fatto
— continuo delle NTC: quelle erano basate sulle zone sismiche mentre queste sono basate
su un reticolo i cui nodi distano meno di 10 km. Tuttavia, tale passaggio rappresenta solo
un perfezionamento. Il passaggio cruciale, che segna l’inaugurazione delle normative sismiche
di ultima generazione, è rappresentato dalla classificazione sismica dei comuni italiani
introdotta con la O.P.C.M. 3274/2003. Tale zonazione ascriveva molti comuni a sismicamente
pericolosi, mentre le precedenti normative ingiustamente li classificavano come nonsismici
(si noti che molti di questi siti erano stati colpiti da terremoti considerevoli anche in
un passato recente); per i comuni che già erano sismici, inoltre, fissava valori di progetto del
picco di accelerazione coerenti con l’effettiva pericolosità sismica delle zone, mentre quelli
delle precedenti normative erano scarsi.
In definitiva, le azioni sismiche di progetto prescritte dalle normative di ultima generazione
sono coerenti con la pericolosità sismica dei siti. Per contro, le azioni sismiche di progetto
previste dalle precedenti normative erano scarse: assicuravano una insufficiente protezione
sismica.
Quanto sopra — che riguarda tutte le costruzioni — è il principale pregio delle nuove
normative. Riguardo alle costruzioni di muratura, le normative di ultima generazione si segnalano
anche per un altro pregio. Queste normative hanno chiarito ciò che le vecchie normative
o lasciavano vago oppure ponevano in modo fuorviante: che nelle strutture murarie
la resistenza per massa rappresenta il contributo primario alla portanza delle forze orizzontali.
Quindi la capacità della muratura di portare le forze sismiche è dettata dai meccanismi cinematici.
Per cui, la sicurezza strutturale non dipende dalle tensioni sollecitanti (a parte la
resistenza a taglio in assenza di sforzo normale, che però fornisce un contributo succedaneo).
Tutto ciò rappresenta un grande avanzamento nella protezione sismica del costruito.
2. Capacità sismica di normativa delle murature verticali
Si considerano gli edifici di muratura che, nell’ultimo mezzo secolo, non sono stati assoggettati
a interventi strutturali rilevanti. Solitamente, tali edifici sono sprovvisti di elementi orizzontali
resistenti a trazione: non presentano cordoli, catene, travi, solai armati; inoltre presentano
architravi non efficacemente ancorati alle strutture verticali (e comunque nemmeno
questi resistenti a trazione). Le fasce di piano di tali edifici sono quindi non‐armate.
La capacità sismica riconosciuta dalle normative a una tale costruzione di muratura è
composta da tre contributi:
- resistenza per massa,
- dissipazione energetica (trasformazione dell’energia cinetica in energia termica, in deformazioni
permanenti, in rotture, in aumento dell’energia potenziale),
- sovra‐resistenza.
(1) La resistenza per massa è adeguatamente definita dalle normative di ultima generazione,
laddove le normative precedenti erano carenti a questo proposito. Inoltre, il calcolo della resistenza
per massa è immediato, poiché trattasi di equilibri di compagini murarie.
(2)
La crisi di portanza di una muratura avviene per meccanismo cinematico. Perciò la deformata
ultima di una struttura muraria è assai cospicua. Tuttavia una cosa è la deformabilità
ultima, un’altra cosa è la capacità dissipativa. I componenti della muratura — malta, mattoni
ovvero pietre — non presentano alcuna fase plastica considerevole.
Quindi le costruzioni di muratura non consumano energia per plasticità, né a livello di materiali
base né a livello di elementi componenti. In questo, la muratura si pone in condizione
pressoché duale al C.A. e all’acciaio.
Però le murature dissipano energia per ingranamento e per attrito tra le parti in movimento
relativo, a livello di materiale composto — assemblaggio di malta e mattoni (o pietre)
— e di componenti strutturali — maschi, fasce, pannelli, volte — e in questo la muratura
si pone in condizione diversa dal C.A. e dall’acciaio.
Stimare la capacità dissipativa oligo‐ciclica di una muratura è arduo. Una cosa è infatti
stimare la dissipazione di un concio plastico del C.A. e dell’acciaio. Ben altra cosa è stimare la
dissipazione di una struttura muraria, se non di un’intera costruzione. Anche perché la stima
deve essere basata su risultati di prove sperimentali di campioni al vero. A ciò si aggiunga
che il problema interessa soprattutto i Paesi che possiedono costruzioni murarie in zona sismica
da conservare. Inutile ricordare che più del 75% dei beni monumentali e artistici mondiali
sono in Italia e che i Paesi che si dividono le fette maggiori del rimanente 25 % non sono
sismici, ad eccezione dei Paesi del bacino mediterraneo e del Portogallo. È dunque l’Italia a
essere chiamata a fornire i principali contributi al riguardo. Diverso è il problema sismico del
C.A. e dell’acciaio, che invece interessa tantissimi Paesi.
I valori forniti dalle normative a tal proposito risentono drasticamente di tale lacuna: non
conoscendo pienamente l’effettiva capacità dissipativa della muratura, le normative sismiche
assumono una posizione largamente conservativa, prudenzialmente. Alla muratura, in
particolare, le normative riconoscono una capacità dissipativa assai minore che al C.A. e
all’acciaio, material questi ultimi dotati di una significativa fase plastica.
(3) Le strutture di muratura garantiscono una sovra‐resistenza rispetto alla capacità resistente
considerata nelle verifiche degli elementi — punto (1) —, la quale non rientra nella capacità
dissipativa — punto (2) — ma deve essere stimata ad hoc. Tale sovra‐resistenza è prodotta
da due fenomeni meccanici.
Il primo fenomeno generatore di sovra‐resistenza discende dalla molteplicità dei muri,
delle campate e dei piani. In ragione di tale molteplicità, la forza orizzontale che labilizza la
struttura più debole (di solito un pannello murario) non provoca la crisi dell’edificio. La crisi
dell’edificio avviene invece per valori più alti della forza orizzontale. Infatti, la molteplicità
genera iperstaticità. La conversione dell’organismo strutturale in un sistema labile richiede la
formazione di un numero di cerniere tanto più elevato quanto più l’iperstaticità è elevata.
Maggiore è l’iperstaticità, dunque, maggiore è la forza orizzontale che provoca la crisi
dell’edificio. L’iperstaticità è una specifica caratteristica dell’edificio e quindi non può essere
definita a‐priori ma deve essere riprodotta da un parametro ad hoc. Coerentemente la normativa
introduce uno specifico parametro il quale, tutto sommato, considera debitamente
questo contributo.
Il secondo contributo alla sovra‐resistenza è dato dall’ingranamento e dall’attrito. I meccanismi
teorici consistono in blocchi (assimilabili a rigidi) connessi da cerniere o da carrelli.
Nelle strutture verticali e nelle fasce di piano, in realtà, tali vincoli non sono lisci, bensì scabri
(nelle volte, invece, tendono a essere lisci). Difatti, una cerniera o un carrello è il risultato di
una fessura. Una cosa sono però le fessure delle volte, un’altra cosa le fessure dei paramenti
verticali o delle fasce di piano. Le fessure delle volte sono pressoché radiali. Di conseguenza,
i vincoli conseguenti sono praticamente lisci. Le fessure delle strutture verticali o delle fasce
di piano sono articolate e frastagliate, specie nei pannelli nodali delle pareti forate (pareti
con aperture). Di conseguenza, i vincoli conseguenti sono fortemente scabri. Nei pannelli,
nelle pareti e nelle pareti forate, dunque, i movimenti relativi tra gli elementi vincolati trovano
un’opposizione per ingranamento e per attrito. Il contrasto, oltre a sussistere all’innesco
del meccanismo, si mantiene anche per cospicui atti di moto. In termini energetici,
l’opposizione consiste in un lavoro virtuale resistente, aggiuntivo al lavoro compiuto dalle
masse, relativamente agli spostamenti prodotti dal meccanismo cinematico di collasso. In
termini di azioni interne, l’opposizione consiste in forze e momenti resistenti supplementari
alle forze peso e ai conseguenti momenti.
In sintesi, l’esistenza di fenomeni di ingranamento e di attrito comporta che, nel meccanismo
murario, il momento nelle cerniere non sia nullo e la forza trasversale nei carrelli non
sia nulla. Conseguentemente, la forza orizzontale esterna che equilibra la portanza per massa
non innesca la crisi dell’elemento strutturale. La crisi avviene per valori più alti della forza:
la forza ultima bilancia la portanza per massa più la portanza ingenerata dalle azioni interne
resistenti per attrito e ingranamento.
La normativa stima la capacità delle strutture verticali e delle fasce di piano riferendosi a
un ideale meccanismo di ribaltamento. Rispetto al meccanismo reale, il meccanismo ideale
di normativa contempla gli aspetti sfavorevoli, mentre trascura i contributi favorevoli; dunque
è largamente conservativo. Più nello specifico, il meccanismo di normativa contempla
che la cerniera si addentra allo spessore murario così da originare tensioni compatibili con il
materiale muratura. In questo modo, la normativa considera la riduzione dei bracci di leva
resistenti. Il meccanismo di normativa non contempla invece che la cerniera (o il carrello)
sono vincoli scabri, trascurando così le azioni resistenti per ingranamento e attrito. Il meccanismo
reale può quindi contare su una considerevole opposizione al cinematismo che il meccanismo
di normativa non considera: sovra‐resistenza.
Con riferimento alle pareti forate (pareti murarie con porte o finestre), la sovra‐resistenza
supplementare alla resistenza per massa è garantita dalle fasce di piano, le quali assicurano
un significativo e sistematico momento resistente. Questo momento resistente si riversa sui
maschi murari in forma di momento antagonista: il ribaltamento dei maschi murari è resistito
sia dalle masse, sia dal predetto momento antagonista.
Si precisa che quanto sopra prescinde dalla resistenza a trazione della muratura. Infatti,
tale proprietà meccanica è debole e incerta; quindi è opportuno trascurarla, in favore di sicurezza,
come appunto le normative fanno. La suddetta sovra‐resistenza data dalle azioni resistenti
per ingranamento e attrito supplementari alle azioni resistenti per massa è pressoché
omessa dai fattori di struttura prescritti dalle normative sismiche.
Se i fattori di struttura considerassero la suddetta sovra resistenza supplementare, le forze
sismiche di progetto sarebbero assai minori rispetto a quanto prescritto dalle normative
di ultima generazione. Alla luce di quanto sopra si può affermare che le normative sismiche
di ultima generazione sono eccessivamente conservative relativamente alle analisi basate sui
fattori di struttura (lineari).
3. Analisi sismiche lineari e non‐lineari
Alla conclusione del punto precedente si potrebbe obiettare che i fattori di struttura sono
fortemente conservativi poiché debbono sintetizzare forfetariamente la dissipazione e la sovra‐
resistenza da inserire nelle analisi lineari; e che, per considerare debitamente tali fenomeni,
occorre stimarli a‐posteriori anziché a‐priori. Si potrebbe cioè osservare che, nel pieno
rispetto della denominazione, solo le analisi non‐lineari consentono di stimare le nonlinearità,
mentre le analisi lineari sono condannate dalla loro stessa natura ad essere grossolane.
Di seguito si espone l’opinione di chi scrive al riguardo.
Come noto, due sono i tipi di analisi sismica che possono essere condotti per una generica
costruzione: lineari e non‐lineari.
Le analisi lineari possono essere statiche o dinamiche (modali). Le analisi lineari stimano
la capacità sismica come il sistema di forze orizzontali che innesca il meccanismo cinematico
più debole dell’elemento più debole (portanza per massa). Le analisi lineari stimano la domanda
sismica (da confrontare con la predetta capacità) riducendo le azioni sismiche elastiche
(determinate dallo spettro elastico). La riduzione avviene dividendo le azioni sismiche
elastiche per il fattore di struttura (q); questo a parte le strutture estremamente rigide, dove
q incide tanto meno quanto più il periodo è piccolo.
Il fattore di struttura considera la capacità dissipativa e la sovra‐resistenza. Nelle analisi
lineari, dunque, la capacità include solo la resistenza per massa. La domanda deve pertanto
includere solo l’aliquota che la costruzione è chiamata a tollerare per massa. La depurazione
della aliquota di domanda che invece la costruzione tollera inelasticamente avviene mediante
i fattori di struttura. La normativa assegna i fattori di struttura forfetariamente e pressoché
aprioristicamente: capacità dissipativa e sovra‐resistenza vengono contemplate sulla base
di due sole condizioni specifiche.
1‐ La diffusione della dissipazione nella costruzione. Se l’edifico è regolare la dissipazione
coinvolge più elementi che se è irregolare e quindi è più cospicua.
2‐ La sovra‐resistenza data dalla molteplicità delle campate e dei piani. Maggiore è la molteplicità,
maggiore è la capacità inelastica dell’edificio.
Per contro, i fattore di struttura sono agnostici nei confronti della sovra‐resistenza data
dalle forze e dai momenti per ingranamento e attrito, accennate al punto precedente.
Lo scarso valore del fattore di struttura di normativa richiede alla costruzione di tollerare
per massa forze orizzontali assai elevate in rapporto alla condizione resistente di meccanismo.
Questo spiega perché le verifiche del costruito in muratura regolarmente non sono soddisfatte.
Le analisi non‐lineari possono essere anch’esse statiche o dinamiche. Le analisi non‐lineari
tentano di stimare la capacità dissipativa e la sovra‐resistenza garantite dalla specifica struttura
analizzata. Così facendo, sembra possibile considerare esattamente quello che le analisi
lineari attribuiscono forfetariamente e genericamente. Questo però solo apparentemente. In
realtà, le analisi non‐lineari risentono di alcuni problemi teorici non pienamente risolti e di
alcune questioni operative non sviluppate sufficientemente.
Una delle principali lacune teoriche è la valutazione della dissipazione.
Le analisi statiche non‐lineari caratterizzano l’organismo strutturale murario mediante la
curva di capacità (curva forza generalizzata – spostamento generalizzato). Allo stato attuale
delle conoscenze, tuttavia, l’aliquota dissipativa che le normative associano alla curva di capacità
rappresenta un passaggio scarsamente supportato teoricamente. Di conseguenza,
l’affidabilità teorica di una analisi statica non‐lineare non è tale da garantire maggiore precisione
di una analisi modale.
A ciò si aggiunge che la curva di capacità può essere definita in modo largamente approssimativo
e che le eccentricità del baricentro rispetto al centro delle rigidezze possono essere
contemplate in modo grossolano.
Le analisi dinamiche non‐lineari caratterizzano l’organismo strutturale murario mediante
leggi oligo‐cicliche. Allo stato attuale delle conoscenze, tuttavia, il comportamento oligociclico
della muratura non può essere definito affidabilmente, a differenza che nel caso del
C.A. e dell’acciaio.
La principale lacuna operativa deriva dal fatto che le analisi non‐lineari possono essere
applicate solo mediante uno specifico codice di calcolo numerico. A parere di chi scrive, tuttavia
i codici di calcolo debbono ancora essere compiutamente messi a punto riguardo le analisi
non‐lineari. Al momento, non sempre i software professionali sembrano in grado di
trattare problemi così complessi, specie nel caso degli edifici di maggiore impegno. Pertanto,
i risultati numerici che si ottengono possono risentire di molte imperfezioni. A ciò si aggiunge
che, nel caso delle analisi non‐lineari, il controllo dei risultati numerici è ostico e spesso il
progettista deve accettare acriticamente buona parte degli output dell’analisi numerica.
Chi scrive ritiene che le analisi sismiche più ragionevoli per un edificio con struttura di
muratura siano le analisi lineari. Come minimo, infatti, le maggiori complicazioni insite nelle
analisi non‐lineari non garantiscono risultati più affidabili rispetto alle analisi lineari; talvolta;
talvolta introducono addirittura indeterminatezze ulteriori ed errori aggiuntivi. Volendo tentare
una battuta di spirito, si può dire che, “mentre i criteri di progetto delle normative sismiche
garantiscono la gerarchia delle resistenze, i metodi di analisi sismica di normativa non
garantiscono la gerarchia delle difficoltà”. Nel senso che la vulnerabilità sismica valutata con
una analisi più complicata (non‐lineare) può talvolta risultare maggiore che quella valutata
con una analisi meno complicata (lineare). Un criterio tradizionalmente insito nelle normative
è che, maggiore è la complessità della analisi, maggiore è la sicurezza risultante. Ebbene,
le analisi sismiche delle murature di normativa non rispettano tale criterio.
Se le analisi non‐lineari fossero pienamente e sistematicamente affidabili, tenuto conto
che la sicurezza valutata con una analisi non‐lineare può talvolta essere minore che con una
analisi lineare, le analisi non‐lineari dovrebbero essere rese obbligatorie, mentre le analisi
lineari potrebbero rappresentare al più un metodo di primo scandaglio ma non di verifica
della sicurezza. Invece, le normative lasciano il progettista libero di scegliere quale analisi
adottare. Tacitamente, dunque, le normative attestano che le analisi non‐lineari non sono
pienamente e sistematicamente affidabili.
Stando così le cose, meglio adottare le analisi più semplici: le analisi lineari. E questo non
solo per ridurre il tempo e le complicazioni, ma soprattutto per ottenere risultati meglio controllabili.
A quanto sopra si aggiunge un ulteriore elemento. L’esperto è in grado di valutare la vulnerabilità
di una costruzione sulla base dell’ispezione in‐situ e del rilievo dello stato di fatto,
senza bisogno di analisi calcolative. Questa valutazione empirica ha un’affidabilità non disconoscibile.
A parere di chi scrive, tale valutazione non è automaticamente meno affidabile
della valutazione di vulnerabilità che scaturisce da un’analisi sismica, sia lineare sia nonlineare.
A ciò si aggiungono le valutazioni di vulnerabilità ricavabili con l’analisi dei meccanismi
locali di collasso, le quali hanno un loro valore assoluto, ma soprattutto un loro valore
specifico irrinunciabile in molte situazioni. Le valutazioni di vulnerabilità empiriche come pu7
re quelle ottenute analizzando i meccanismi locali di collasso sono indispensabili. Il punto
non è quindi se sia più affidabile una analisi lineare o una analisi non‐lineare in senso assoluto,
ma quale delle due analisi sismiche sia più affidabile in senso relativo; quale delle due analisi,
cioè, si integri meglio con le predette valutazioni di vulnerabilità. Anche da questo
punto di vista la risposta è sempre quella: le analisi lineari.
Un’annotazione sugli indici di sicurezza sismici (rapporto tra PGA tollerata e domanda di
PGA). Se valutati con analisi statiche non‐lineari, tali indici possono risultare assai maggiori
che se valutati con analisi modali: in certi casi, possono decretare la sicurezza, laddove se valutati
con analisi modali la costruzione risulta non‐verificata.
A parere di chi scrive, però, il motivo non risiede nel metodo di analisi in sé, ma nel software
con il quale l’analisi statica non‐lineare viene effettuata. In primo luogo,infatti, vi sono
software professionali che (talvolta addirittura senza dichiararlo) introducono un momento
al nodo tra la fascia di piano e il maschio, mentre le analisi lineari non possono avvalersi di
tale momento. In secondo luogo, molti software professionali ridistribuiscono totalmente e
liberamente l’azione sismica sulle strutture verticali. Ciò comporta (tacitamente) un rapporto
tra la forza orizzontale portata dall’edificio (il 90% del picco) diviso quella portata dal pannello
più debole (
di cui nel capitolo successivo) assai maggiore di 2.5.
Di conseguenza, gli indici di sicurezza sismica differiscono solo in ragione di diverse ipotesi
meccaniche tra i due metodi: quelle adottate dai software che svolgono le analisi statiche
non‐lineari meno severe, ma soprattutto incoerenti con gli espliciti dettami normativi.
Chi scrive ritiene che
dipenda dall’apparecchiatura muraria e dallo sforzo normale.
Per cui, la posizione
> 2.5 è sì sostenibile, purché giustificata. Per contro, molti software
professionali non effettuano alcun controllo sullo stato iniziale e finale del pannello murario
che per primo attinge la crisi di portanza.
Un’annotazione sui metodi di analisi semplificati. Riconosciuto che le valutazioni empiriche
di vulnerabilità hanno un elevato livello di affidabilità, poco senso hanno allora i metodi
semplificati previsti da molte normative sismiche. I metodi semplificati conseguono
un’approssimazione largamente peggiore rispetto alle predette analisi empiriche.
Il discorso potrebbe essere rovesciato. La progettazione antisismica dovrebbe essere affidata
solo a chi è in grado di formulare valutazioni empiriche dotate di un’affidabilità superiore
a quella ottenibile mediante i metodi cosiddetti semplificati.
4. Dallo stato di fatto allo stato degli interventi essenziali: conclusione
Le analisi sismiche di normativa sono riferite o allo stato di fatto o al progetto di adeguamento.
Tuttavia, lo fatto ha poco senso. Infatti, alcuni interventi strutturali debbono essere comunque
eseguiti su una costruzione di muratura, quale che siano le valutazioni di vulnerabilità
dello stato di fatto, quale che sia il valore architettonico della costruzione e quale che sia
la disponibilità economica per l’intervento. Fra i predetti interventi imprescindibili vi è la cucitura
di ciascun campo di solaio ai quattro i muri di supporto sottostanti, la cucitura degli
ammorsamenti tra i muri e la cucitura degli architravi murari ai maschi, l’eliminazione del ri8
baltamento fuori‐dal‐piano dei muri vulnerabili in questo senso.
Benché minimali, tali interventi danno luogo a uno stato decisamente più favorevole rispetto
allo stato di fatto. Questo stato — che può essere denominato degli “interventi essenziali”
— dovrebbe essere il punto di partenza delle valutazioni analitiche di vulnerabilità,
mentre lo stato di fatto dovrebbe rivestire interesse solo per le valutazioni empiriche di vulnerabilità
dalle quali definire i predetti interventi essenziali.
Lo stato degli interventi essenziali rimuove alcune delle ipotesi causa le quali, nelle costruzioni
di muratura, la capacità di PGA è così piccola in rapporto alla domanda di PGA. Gli
indici di rischio sismico (rapporto tra la capacità e la domanda di PGA) valutati per lo stato
degli interventi essenziali, pur rimanendo spesso inferiori all’unità, comunque permettono di
svolgere calcoli strutturali fondati si ipotesi meno incerte e consentono una gestione molto
più razionale del patrimonio edilizio.